Cosa è la MINDFULNESS?
La Mindfulness è un approccio integrativo mente-corpo che può aiutarti a gestire pensieri ed emozioni, modificando il modo di porsi nei confronti delle esperienze.
Associata alla psicoterapia viene utilizzata nel trattamento di depressione, ansia, obesità, dolore cronico, disturbo ossessivo compulsivo, dipendenze patologiche e in svariate altre condizioni.
Dimenticate tutto ciò che sapete sulla meditazione…
A cosa serve la Mindfulness?
Proprio come le marce di un’automobile, la nostra mente può funzionare secondo diverse modalità: alcune delle modalità a cui siamo abituati, rigide ed automatiche, ostacolano il raggiungimento dei nostri scopi:
La mindfulness può essere insegnata per rendere le persone più consapevoli della modalità mentale in cui si trovano in ogni momento, per imparare le abilità che consentono di sganciarsi da quelle inutili e passare ad altre che possono essere d’aiuto(1)
Agisce potenziando attenzione e concentrazione, accresce la consapevolezza dei propri stati emotivi e favorisce una comprensione più profonda di sé stessi e della realtà. La Mindfulness insegna un metodo di gestione dello stress che allo stato attuale è il più diffuso al mondo e anche il più efficace. Ed è scientificamente dimostrato.
La Mindfulness fa per me?
Con gli opportuni adattamenti, tutti possono praticare la mindfulness, bambini, giovani e adulti. La pratica è nata per il trattamento di problemi psicologici dovuti allo stress, all’ansia e alla depressione, ma si dimostra utile per chiunque voglia incrementare il proprio benessere.
In ogni caso, non si tratta di un gioco, anzi richiede una buona dose di impegno, costanza e disciplina.
Scopri come puoi imparare la Mindfulness.
Perché abbiamo bisogno della Mindfulness?
Tutti sanno cosa si deve fare per mantenere in salute il proprio corpo: attività fisica, buone abitudini, alimentazione corretta ed equilibrata. Al contrario, sono molto poche le persone che sanno come mantenere “in forma” la propria mente e gestire gli stress derivanti dalla vita.
“I livelli di stress delle persone di oggi, confrontati con quelli di vent’anni fa, sono semplicemente incredibili.
Oltre alle tradizionali fonti di stress (lavoro, persone, malattie, ruoli da ricoprire, eventi del mondo), con l’era digitale abbiamo introdotto fonti di stress interamente nuove nella nostra vita: lo stress dell’information processing, della velocità a cui fa viaggiare le cose. E abbiamo reso sempre più sfumata la distinzione tra la vita lavorativa e quella domestica, fra la settimana lavorativa e il week-end, fra il giorno lavorativo e la notte.
Si può quindi arrivare al punto in cui si è sempre al telefono, sempre a leggere e inviare e-mail, il punto in cui stai sempre reagendo a qualche stimolo e tutto il tempo è dedicato al fare e non all’essere.
La nostra mente è spesso così piena di cose “da fare” che passiamo le nostre giornate cancellando gli impegni da una lista di obiettivi da portare a termine. Purtroppo siamo così assuefatti a questo modo di vivere da non metterrlo ormai nanche più in discussione. Andiamo avanti con il “pilota automatico” (Jon Kabat-Zin, 1989).
Quante volte ci sarà capitato di entrare in una stanza senza sapere che cosa ci eravamo andati a fare, di perdere oggetti in casa e poi ritrovarli nei posti più impensati, di guidare e rendersi conto di essere arrivati a destinazione pur senza avere alcun ricordo del viaggio appena fatto?
Queste piccole dissociazioni tra noi e il presente testimoniano che la nostra mente è occupata da altri pensieri. Anche se tutto questo può essere innocuo e comune, in realtà questo “stile”, questa tendenza a vivere con scarsa padronanza nel momento presente ha ripercussioni importanti su tutta la nostra vita.
Siamo così presi dai nostri pensieri e dalle preoccupazioni che la nostra mente ci porta altrove rispetto a dove siamo (nel passato-nel futuro), con il risultato che per molte ore durante la giornata siamo estranei alle esperienze vissute, perdendone il senso. Il presente è diventato una questione marginale nella nostra vita.
C’è una cosa che la mente umana non riesce a smettere di fare: pensare. E’ nella sua natura. La mente è una macchina che produce pensiero e non smette neanche quando dormiamo.
Per questa ragione, i pensieri automatici sono normali.
I problemi iniziano quando a diventare automatiche sono le autocritiche, le aspettative catastrofiche, le colpevolizzazioni, le azioni impulsive e i rituali compulsivi, che senza alcun controllo ci impongono di ripetere all’infinito sempre le stesse azioni controproducenti che sabotano tutti i nostri sforzi
Però, se riuscissimo ad accorgerci di avere un pensiero depressivo o ansioso nel momento stesso in cui sorge, o se ci fosse un modo per evitare di rimanere “agganciati” emotivamente a certi stati mentali, potremmo reagire più consapevolmente, evitando di cadere sempre negli stessi circoli viziosi limitanti.
E’ proprio questo lo scopo di fondo della “mindfulness”, ossia la capacità di essere pienamente consapevoli delle situazioni che affrontiamo..nel momento stesso in cui le affrontiamo.
I pensieri automatici
E’ utile sapere che in tutti noi sono presenti due flussi di pensiero diversi:
- pensieri coscienti, detti anche volontari (pensare di ascoltare una canzone, di fare una telefonata)
- pensieri automatici. Questi ultimi, sono diversi dai primi. Sono così veloci e immediati che non abbiamo la consapevolezza della loro presenza. Siamo però più coscienti delle emozioni, dei sentimenti che ne conseguono e delle sensazioni fisiche che le accompagnano. Ad esempio, quando soffriamo a causa dell’ansia possiamo essere certi che i nostri pensieri automatici, di cui non ci accorgiamo, sono di segno negativo e sono strettamente legati a quella sgradevole sensazione che molti di noi conoscono.
La cura più efficace al mondo per i disturbi d’ansia prevede l’identificazione di questi pensieri disfunzionali come il primo passo necessario per il trattamento del problema.
Questo procedimento, che è uno dei capisaldi della terapia cognitivo-comportamentale, mostra una notevole somiglianza con quelle che sono le indicazioni di funzionamento che stanno alla base della mindfulness.
Per questa ragione, negli ultimi venti anni, le scienze cognitive si sono accostate con particolare interesse alle pratiche di mindfulness; il risultato si ritrova in protocolli di cura e di psicoterapia basati sulla mindfulness (MBCT – Mindfulness Based Cognitive Therapy) che si sono scientificamente dimostrati addirittura più efficaci dei farmaci nel prevenire le ricadute della depressione.
La mindfulness però, esiste ancora da prima del suo “predestinato” incontro con le scienze cognitive. Da dove proviene quindi?
Jon Kabat Zinn – lo “scopritore” della Mindfulness
Sul finire degli anni settanta negli Stati Uniti, lo studioso di medicina molecolare Jon Kabat-Zinn, insegnava ai suoi pazienti un’antica pratica di meditazione buddhista. Senza alcuna finalità di tipo spirituale, la pratica era stata adattata per pazienti affetti da dolore fisico cronico.
Il suo scopo era insegnare ai pazienti delle modalità di risposta allo stress dovuto alla loro condizione di vita, che consentissero di abbandonare alcune tipiche reazioni mentali che non fanno altro che peggiorare le cose, impedendo ogni miglioramento del problema.
Il programma consisteva di otto sedute di gruppo settimanali della durata di 2 ore e mezzo circa e di una serie di esercizi quotidiani da svolgere a casa tra una sessione e l’atra e si rivelava un mezzo per imparare un nuovo modo di essere piuttosto che una tecnica.
Al centro del programma c’era l’insegnamento di un metodo che “gentilmente” insegnava il decentramento, ossia la consapevolezza dei propri stati mentali, momento per momento, insieme alla capacità di allenare alcune capacità mentali innate (attenzione, concentrazione).
Secondo Jon Kabat-Zinn la mindfulness è la consapevolezza che emerge dal prestare attenzione al momento presente, in maniera intenzionale, e non giudicante.
Oggi, il suo programma di riduzione dello stress basato sulla mindfulness (MBSR -Mindfulness Based Stress Reduction), un programma scientifico a tutti gli effetti, è stato completato da decine di migliaia di persone e viene proposto in più di 400 ospedali negli Stati Uniti e in Europa.
Da dove proviene la Mindfulness?
La pratica della consapevolezza a cui oggi ci riferiamo con il termine Mindfulness proviene da una antica pratica meditativa di origine buddista, la meditazione vipassana, datata duemilacinquecento anni fa.
Mentre nella quasi totalità delle forme meditative lo scopo di fondo religioso o filosofico consiste nel raggiungimento di uno stato di benessere, o di coscienza particolare (meditazione trascendentale), nella totale assenza dei pensieri (meditazione recettiva), o nell’ottenere un beneficio da parte di un essere superiore (preghiera devozionale cristiana), la meditazione buddista di tradizione vipassana non proponeva di sfuggire al dolore o di combatterlo, ma al contrario di riconoscere la sofferenza, accettarla e viverla per quello che è.
Da questa impostazione di fondo deriva ciò che oggi chiamiamo mindfulness. Quindi, paradossalmente, ci troviamo alle prese con una tecnica di consapevolezza che è allo stesso tempo tra le più antiche e tra le più moderne e rivoluzionarie.
“E’ come se la mindfulness fosse sempre esistita. Essa è una pratica universale dal momento che attenzione e consapevolezza sono capacità innate in tutti noi.” Jon Kabat-Zinn
Nell’approccio moderno a questa tecnica, tutto quello che classicamente è legato alle filosofie orientali e cioè quell’insieme di tradizioni, sistemi di pensiero e tecniche spirituali che nei secoli hanno formato le diverse dottrine del Buddismo, viene riconosciuto, al limite, quale verità antropologica, ma mai promosso ne insegnato attivamente.
Così, mentre nel mondo occidentale l’idea di “meditazione” fatica a slegarsi dagli aspetti religiosi e spirituali, la mindfulness esplora il versante scientifico della pratica meditativa e appare sempre più radicata nell’alveo delle scienze cognitive.
Perché la Mindfulness ha effetti terapeutici?
Prima di capire come si pratica la mindfulness e quali abilità occorre sviluppare per sfruttarla a proprio vantaggio, vediamo perché funziona.
Esistono 4 fondamentali ragioni per cui la mindfulness ha effetti terapeutici tanto da innalzare il livello della salute e della qualità della vita:
1. Innanzitutto consente di sbloccarci e di tornare al momento presente invece di rimanere incastrati nel passato oppure immobilizzati a causa di anticipazioni catastrofiche sul futuro.
2. La pratica costante consente di imparare a riconoscere i propri pensieri in quanto tali: molti problemi psicologici dipendono dal fatto che abbiamo la cattiva abitudine di considerare i nostri pensieri come fatti, invece che idee. Scambiamo i nostri contenuti mentali per la realtà esterna:se penso di “essere debole” posso convincermi di essere debole e iniziare a comportarmi come tale, di fatto confermando nella realtà quello che all’inizio era solo un pensiero (profezia che si auto-avvera). In più il pensiero può funzionare sotto l’effetto di una o più distorsioni che altro non sono che errori logici che ci fanno percepire una realtà diminuita. Questi fenomeni molto comuni, proprio come un virus che ci indebolisce, ci impediscono di utilizzare il pensiero in maniera critica e capire che la realtà comprende molte altre alternative oltre alle nostre idee.
3. Un’altra ragione per cui la mindfulness ha effetti benefici, dipende dal fatto che una consapevolezza più piena permette di fare esperienza della nostra mente: il nostro modo di interpretare, concettualizzare, sentire, predire, legarsi agli eventi o alle persone, avere timore e giudicare è peculiare. E’ unico. Una conoscenza più estesa e profonda di noi stessi consente di capire meglio la realtà e di fare scelte più consapevoli.
4. Infine, il fatto di dedicarsi agli esercizi rappresenta un atto di cura e di benevolenza nei propri confronti. E’ un piccolo gesto, ma che significa tanto: decidiamo di smettere di criticarci e colpevolizzarci per iniziare a volerci bene. Riducendo la tendenza al giudizio ed essendo più indulgenti e meno duri con noi stessi, ci prendiamo cura di noi. In questo modo, anche le relazioni con gli altri e il nostro lavoro saranno migliori.
Mindfulness e scienza
Esami condotti tramite risonanza magnetica hanno dimostrato che la pratica stabile della mindfulness è in grado di attivare circuiti neuronali nelle aree corticali e di avere effetti “plastici” sul cervello, aumentando lo spessore di alcune aree dell’ippocampo, implicato nei processi di apprendimento e memoria, e assottigliando altre aree come l’amigdala destra, implicata nei processi di paura e percezione del pericolo.
Come posso imparare la Mindfulness?
La Mindfulness può essere appresa in diversi modi. In commercio esistono ormai decine e decine di manuali di auto-aiuto ricchi di esercizi e consigli pratici per “fare da soli” e persino in pochissimo tempo. Ovviamente si tratta di approcci estremamente semplificati che però possono essere buone letture e forniscono un’ottima introduzione al metodo.
Diversamente, gli approcci che hanno dimostrato una reale efficacia e cambiamenti sostanziali, consistono in programmi altamente strutturati e necessitano di una conduzione da parte di una persona qualificata: si tratta di sessioni molto articolate in cui vengono trasmessi insegnamenti specifici, vengono fornite le linee guida e viene affrontata la pratica concreta degli esercizi.
Scopri il mio metodo e inizia a praticare da subito.
Per chiarezza, ci si riferisce agli esercizi con i termini di pratica formale e pratica informale. Gli esercizi formali riguardano sessioni inserite nei programmi ufficiali, come l’originario Mindfulness Based Stress Reduction di Kabat-Zinn insegnato nell’Università del Massachussets o la terapia cognitiva basata sulla Mindfulness di Segal, Williams e Teasdale (MBCT). Si tratta di un numero ben preciso di esercizi standardizzati che di volta in volta vengono proposti nelle varie fasi del programma di apprendimento della tecnica.
Gli esercizi informali invece consistono nell’applicazione dei principi basilari della mindfulness a qualsiasi tipo di attività quotidiana.
- Segal, Williams, Teasdale. 2014)