Troppo spesso dimentichiamo che molte persone non sono affatto contente di fumare.
Almeno il 40% dei fumatori attuali sta pensando di smettere. Di questi, il 20% ci prova, ma solo il 2-3% ci riesce senza aiuto. Quindi, il primo dato importante da considerare è che fumare rende profondamente dipendenti, che molte persone vorrebbero smettere, ma che, dopo un certo tempo, non ci si riesce più per mezzo della propria volontà.
La dipendenza fisica può essere il primo impedimento per smettere ma non l’unico. Fai il test per capire il tuo livello di dipendenza dalla nicotina.
Le uniche altre certezze sono che:
- Sia la terapia farmacologica sia l’approccio di tipo psicologico si sono rivelati efficaci (vedi oltre per i dettagli).
- L’intervento multidisciplinare integrato (medico e psicologico) incrementa l’efficacia della disassuefazione.
- I metodi pseudoscientifici (agopuntura, auricoloterapia) non dovrebbero essere presi in seria considerazione, dal momento che non hanno mai dimostrato chiaramente di essere efficaci.
- Molti fumatori sono profondamente convinti che smettere sia difficile e doloroso, quando invece non è necessariamente così.
Se hai già provato diverse volte a smettere ma alla lunga ogni sforzo è stato inutile, devi sapere che esistono almeno 10 fattori terapeutici in grado di garantirti il successo. E il tuo metodo? Quanti di questi ne comprendeva?
Una notizia che sorprenderà molte persone è che smettere di fumare può essere relativamente semplice.
Proprio così, tutti possono smettere di fumare se lo desiderano. Purtroppo il metodo più utilizzato, cioè provare senza metodo alcuno, opponendosi solamente al desiderio di “accendersene una”, porta spesso a fallire.
Quasi tutti i fumatori sono reduci da uno o più tentativi fallimentari di smettere. Molti si affidano al “fai da te”, o al rimedio dell’amico che ce l’ha fatta (leggere il libro giusto, masticare qualche gomma, sopportare con grande fatica la mancanza della sigaretta per poi cedere immancabilmente e riprendere a fumare dopo pochi mesi).
Ciò fa nascere la convinzione profonda che smettere sia difficile o quasi impossibile. Ed effettivamente queste persone sentono di avercela messa tutta.
Smettere è di “moda”!
Negli ultimi anni è aumentato l’interesse per la salute correlata al fumo di sigaretta; il risultato è che si smette di fumare sempre più spesso. Anche le leggi antifumo hanno dato un contributo importante: dopo tre anni dall’introduzione del divieto di fumare negli uffici e nei locali pubblici si è registrato un calo del 36% dei casi di infarto (2).
Un effetto collaterale divertente di questo “fronte antitabagico” si ritrova nella nascita e nella moltiplicazione delle svariate applicazioni per smartphone e tablet dedicate proprio allo smettere di fumare (una lista si trova quì).
Ancora oggi, qualcuno continua credere che fumare sia semplicemente una cattiva abitudine, e non un complesso intreccio di aspetti psicologici, sociali e neurochimici quale è: la mancata diffusione di una cultura scientifica e consapevole sul fumo, incide negativamente sul tessuto sociale, non permettendo alle persone di prendere la giusta distanza dal tabacco e, come se non bastasse, favorendo la nascita di nuovi fumatori tra i più giovani.
Un legame “psicologico” ci impedisce di smettere.
Chi fuma abitualmente, di solito non mette in discussione questa abitudine ed è poco incline a prendere in considerazione l’argomento. In molti casi subentra un vero e proprio rifiuto che può manifestarsi attraverso la negazione totale di avere un problema (negazioni sostenute da tutta una serie di giustificazioni: smetto quando voglio, in realtà mi piace..io “voglio” fumare, puoi ammalarti comunque anche senza sigarette, tanto un giorno si deve pur morire, mio nonno fuma da cinquant’anni e sta benissimo, ecc.).
Questo tagliare corto in realtà nasconde tutta una serie di pensieri dove si crede che senza fumo la vita non sarà piacevole come prima, che mancherà sempre qualcosa, o che il desiderio di fumare sarà una tentazione continua e minacciosa. Si ha paura di rimanere senza il proprio sostegno preferito: senza il conforto della sigaretta i momenti di dispiacere sarebbero ancora peggiori, e probabilmente ci sentiremmo privati della “stampella chimica” della nicotina che sembra necessaria per affrontare la giornata. Altre persone hanno paura di soffrire e di stare male nel momento in cui provano a smettere, per cui, anche se non vogliono più farlo, continuano a fumare per anni.
La cosa più sconcertante, è che se riuscissimo a trasmettere alle persone la consapevolezza che con la giusta terapia si può smettere senza sofferenza (o quasi), e che in seguito non si penserà mai più alle sigarette, in breve tempo il fumo scomparirebbe.
Stranamente però, tutti i fumatori sembrano essere convinti esattamente del contrario: quando si parla di smettere di fumare, si alza immediatamente un muro e ci si scontra con una serie di ostacoli formidabili.
Smettere “da soli” si può.
Chi scrive questa pagina è stato un fumatore per diversi anni. Più o meno 15. Anche io, come molti, avevo tentato più di volte di smettere per poi puntualmente ricominciare, fumando anche più di prima.
Ho continuato a fumare fino a quando non ho capito meglio una cosa, e cioè che la questione in realtà non era trovare un metodo per smettere, ma capire meglio quale era il metodo che giorno per giorno stavo utilizzando per continuare a fumare. Se fumare causa problemi estremamente seri, allora doveva esserci qualcosa che era in grado di eliminare questa consapevolezza ogni volta che accendevo una sigaretta.
Questo, che può sembrare uno spostamento minimo (ma non lo è), è stato il punto di inizio di una serie di considerazioni che poi mi hanno portato a smettere definitivamente.
Molti fumatori riescono da soli a disassuefarsi dalla nicotina, anzi, tutti quelli che resistono per un certo tempo, 10-15 giorni in media, in realtà danno prova di avercela fatta, essendo andati oltre la soglia della cosiddetta dipendenza fisica. In questa fase l’organismo è “pulito”, la nicotina è stata eliminata e non è più presente il CO (monossido di carbonio): si iniziano a notare le differenze dovute ad una migliore ossigenazione dei tessuti.
Poi però accade qualcosa! Qualcosa che non ci si aspettava: si fuma una sigaretta. E a questa ne seguono altre…insomma, in breve tempo si riprende a fumare.
Perché quasi tutti i nuovi non-fumatori, dopo un periodo variabile che va da pochi mesi a diversi anni, vanno incontro a una brusca ricaduta?
L’errore tipico di chi tenta di smettere da solo consiste nel tralasciare il fatto che il comportamento del fumare stabilisce connessioni molto profonde con la personalità, con l’identità e il modo di considerare sé stessi.
Se si smette perché “fa male alla salute” e perché è un “vizio costoso” si avrà sempre la sensazione di aver rinunciato a qualcosa…e ben presto si ricomincerà a fumare!
Ogni tentativo o terapia che non tenga nella giusta considerazione sia gli aspetti fisici che psicologici del tabagismo è probabilmente destinata a fallire.
Perché fumiamo?
Esistono 1 miliardo e 200 milioni di fumatori nel mondo e può apparire incredibile, ma una persona ogni dieci secondi muore a causa del fumo. Il fumo è in assoluto la prima causa di morte evitabile. Perché continuiamo a farlo? Come si spiega questo fenomeno apparentemente insensato?
La realtà è che esistono motivi eccezionalemente radicati che impediscono la cura del tabagismo. Eccone 4:
1- Fumare serve a raggiungere molti scopi diversi.
- Stimola i centri cerebrali del piacere (circuito di ricompensa); quando si è felici, fumare è un piacere in più.
- Stimola la concentrazione e aumenta le performance nei compiti che richiedono attenzione.
- Serve a rilassarsi e ad “allentare la tensione” nei momenti di stress.
- Aiuta a “stemperare” le emozioni negative, compresa la noia (effetto dissociante).
- Infonde un senso di sicurezza in situazioni sociali “critiche”.
- Aiuta a mantenere il peso corporeo e a non ingrassare (effetto anoressizzante).
2- Si inizia per un motivo, si continua per altri..
- Quasi sempre, si inizia a fumare in adolescenza per rispondere ad un bisogno interno di sicurezza. I giovani scelgono la sigaretta come mezzo per trovare un senso di identità e gestire situazioni di difficoltà relazionale; diverse ricerche hanno dimostrato che queste persone soffrono di più a causa dell’ansia e dei sentimenti depressivi, hanno minori capacità di reagire allo stress e una autostima peggiore.
- Il “fumo” si mantiene poi come meccanismo neurochimico di ricompensa: ossia come uno strumento in grado di generare piacere in relazione a diverse situazioni; si fuma in momenti ben precisi, mentre si beve il caffè, durante una pausa dal lavoro, in una cerchia di amici e conoscenti, sempre alla ricerca della amplificazione dei momenti di piacere durante la giornata.
- Molto spesso la gratificazione da fumo finisce per sostituirsi alle abilità di comunicazione, diventa la scorciatoia per rassicurarsi, placare l’ansia e le difficoltà quotidiane; a questo punto smettere è diventato più molto più difficile.(1)
3- Il fumo è un fenomeno accettato e ben visto.
Fumare è un “vizio” o una “malattia”? Abbiamo a che fare con una scelta personale, un ambito privato in cui ognuno decide come gestire sé stesso come meglio crede o si tratta di qualcos’altro?
Nella nostra società prevale il modello personale del tabagismo a discapito di un modello sanitario che invece vede questo comportamento come un problema da curare. Questa percezione sociale del fumo ha importanti conseguenze.
Dei 12 milioni di fumatori italiani quasi nessuno ha voglia di percepirsi come un “malato”, ma si rifà a una cultura che vede nel fumo una scelta personale, l’esercizio del libero arbitrio oppure la possibilità di ritagliarsi un’identità affascinante, in un certo qual modo magnetica, in fin dei conti positiva.
Qualche secolo fa il fumo era percepito in maniera del tutto opposta, una scelta moralmente discutibile; fumare era considerato volgare e come diffondeva il New York Times del 1905, doveva essere senz’altro un segno di decadenza della civiltà. Nel 1920 Lucy Gaston, una fervente proibizionista americana, si candidò alla presidenza degli Stati Uniti d’America con un programma politico che metteva al primo posto la lotta al tabagismo; è in questo periodo che fumare inizia ad assumere connotazioni anticonformiste e viene visto come un atto di ribellione a un modo di vivere bigotto e bacchettone che voleva proibire il fumo non perché dannoso alla salute, dal momento che ancora non si sapeva nulla sulla questione tabacco/salute (le prime scoperte dei danni da fumo risalgono agli anni ’60), ma perché l’anima doveva rimanere pura di fronte a Dio.
Negli anni a seguire la strategia di marketing più efficace per pubblicizzare le sigarette è stata quella di far fumare i personaggi più rappresentativi del mondo dello spettacolo; icone carismatiche, divi del cinema, a seconda dei casi più o meno ribelli o trasgressivi, ma sempre affascinanti. Oggi, questa strategia che consiste nell’associare la sigaretta a caratteristiche psicologiche desiderabili e queste ultime a un personaggio piacevole, continua più che mai.
Anche se non compaiono più i marchi il dato attuale e che oggi si fuma nell’85% dei film che incassano di più in assoluto.
Purtroppo questa visione bonaria e accattivante viene confermata a livello istituzionale da politiche sanitarie che trattano il tabagismo come un problema minore, e delegano la responsabilità al singolo fumatore “viziato” che se volesse potrebbe smettere con un pò di buona volontà.
Ma stanno realmente così le cose? Come mai quasi la metà di tutti i fumatori desidera intensamente smettere e se potesse vorrebbe non aver mai iniziato? Perché nessuno dice mai “ma che bello che ho iniziato a fumare”? Queste persone non sono forse rimaste vittima del meccanismo patologico di una dipendenza dalla quale non riescono più a liberarsi? Se iniziassimo a vedere così l’intera questione del tabagismo, il peso delle responsabilità potrebbe spostarsi drasticamente e con conseguenze inimmaginabili.
4- Il mondo accademico e sanitario possiede armi incerte per contrastare il tabagismo
- Le Università, salvo fortunate eccezioni, non formano né i medici né le altre figure professionali ad un approccio serio al problema. Le informazioni sui danni da fumo si trovano frammentate sotto i capitoli più svariati della patologia medica e chirurgica, ma senza alcuna trattazione specifica. Ancora di meno gli studenti o gli specializzandi vengono formati alle metodiche di counselling, trattamento e gestione psicologica delle dipendenze.(1)
- In Italia nella classe medica persiste una certa indulgenza verso il “vizio” della sigaretta. Accanto a medici sensibili al problema, ne esistono altri che sono dissonanti e non solo perché fumano essi stessi, ma perché in certi casi non ritengono importante l’eventualità di smettere di fumare.
- In più, sentono spesso di non avere tutti gli strumenti per affrontare la dipendenza da tabacco perché l’abitudine a trattare problemi fisici e a prescrivere farmaci li pone in difficoltà quando si tratta di agire nell’ambito della motivazione e di avvalersi di conoscenze psicologiche semplici in grado di gestire la relazione terapeutica.
- L’alta probabilità di un insuccesso terapeutico e la fustrazione professionale che molto spesso ne deriva, spinge molti medici a non tentare approcci contro il fumo e a lasciare il fumatore da solo a gestire le sue difficoltà (ibidem).
- In realtà, diversi studi hanno mostrato come un intervento breve (minimal advice) della durata di pochi minuti, funziona e aiuta le persone a prendere la decisione di smettere. L’intervento breve permette di incrementare il numero dei non fumatori del 3%. Non è un numero trascurabile: su 12 milioni di fumatori in Italia, si tratta di 360.000 persone in più che smettono di fumare.
La dipendenza fisica è una modifica di alcune aree del cervello
Quando si aspira del fumo di tabacco, la nicotina contenuta nelle foglie penetra molto rapidamente le membrane che proteggono il cervello. La nicotina interagisce con i recettori di cellule che nel cervello regolano l’umore e le emozioni, stimolano l’attenzione, la concentrazione e la performance psicomotoria.
I recettori sono come delle stazioni di atterraggio posizionate sulle cellule del cervello (neuroni) e normalmente si legano a sostanze che produciamo noi stessi (neurotrasmettitori), ma alcuni in particolare possono legarsi anche alla nicotina e ad altre sostanze.
Quando la nicotina si lega ai recettori del cervello, questi ultimi si aprono e modificano l’attività della cellula stessa che è in grado di trasmettere una carica elettrica (depolarizzazione): l’attività di tutte le cellule stimolate in questo modo crea infine un effetto che noi sentiamo come piacevole (le aree del cervello coinvolte sono gestite dalla dopamina).
Dopo che un recettore “lascia andare via” una molecola di nicotina, quasi subito è in grado di legarne un’altra e quindi produrre una nuova scarica. Dopo un po’ però questo recettore inizia a “stancarsi” e a rispondere meno al legame con la nicotina; in un certo senso si abitua alla molecola e diviene insensibile. Il nostro cervello a questo punto, pur di continuare a beneficiare di quella stimolazione piacevole “fabbrica” nuovi recettori da mettere sulle cellule in modo da raccogliere tutta la nicotina disponibile. Questo fenomeno prende il nome di neuroadattamento.
E’ per questa ragione che si inizia con poche tirate ma poi in breve tempo sentiamo di “dovere” fumare di più e passiamo a 10, 20 o anche un numero superiore di sigarette.
Nel cervello dei fumatori i recettori nicotinici sono da 100 a 300 volte più numerosi rispetto ai non fumatori.
Quando smettiamo di fumare tutti questi recettori in sovrannumero rimangono di colpo senza la loro sostanza preferita e la loro “fame” aumentata è alla base del malessere generalizzato proprio dell’astinenza: umore alterato, ansia, irritabilità, disturbi del sonno, agitazione, ecc. (le aree coinvolte in queste manifestazioni sono gestite dalla noradrenalina).
Chi continua a fumare, lo fa per tenere a bada la fame di questo esercito di recettori. Quindi, come del resto in tutte le dipendenze, si assume una sostanza per porre rimedio a un bisogno che prima non avevamo.
Se però si resiste abbastanza a lungo senza introdurre nicotina, il nostro organismo inizierà a sopprimere i nuovi recettori che aveva creato e questi torneranno gradualmente al loro numero naturale.